Tra le tante castronerie dette in merito alla vicenda operese del campo nomadi, voluto in Paese dal Sindaco Ramazzotti e dai preti della Casa delle carità, vi segnaliamo queste parole di Don Virginio Colmegna che, seppure non siano del tenore di quelle che addirittura imputavano agli operesi l'incendio del campo con 30 neonati all'interno, rappresentano comunque la dimostrazione di quanto siano false alcune persone.
Che Dio le abbia in grazia, soprattutto quando si spacciano per uomini della chiesa.
Per chi non sapesse come sono andate le cose a Opera: la sera del 21 dicembre 2006 un numeroso gruppo di manifestanti nell'ambito di una protesta contro l'insediamento di un campo nomadi in paese ha devastato e dato alle fiamme alcune tende che al mattino precedente erano state montate per ospitare dopo qualche giorno i nomadi.
I lavori non erano ancora terminati ed all'interno del campo si trovavano solo tredici tende vuote ed alcuni bidoni che erano serviti per rifornire di nafta lo scavatore all'opera durante il giorno per predisporre gli scavi necessari alla rete fognaria ed agli allacciamenti.
Niente altro e soprattutto nessun essere vivente era nel campo. Neppure le forze dell'ordine a presidiarlo.
Fatto curioso i bidoni vuoti della nafta erano disseminati per il campo uno per ogni tenda bruciata. Il giorno dopo sembrava quasi che qualcuno avesse voluto dare l'impressione che ogni bidone fosse stato utilizzato per bruciare una tenda. Ovviamente l'indagine ha dimostrato il contrario ma non ha preso in considerazione l'ipotesi di verificare chi avesse predisposto l'infame collage.
Mentre un vigile operese annusava il contenuto dei bidoni e li disponeva a suo piacimento siamo stati informati da un operaio della provincia che quelli erano i bidoni utilizzati da lui il giorno precedente per muovere lo scavatore.
Ma quel vigile l'abbiamo visto solo noi?
Parla don Virginio Colmegna, responsabile della Casa della carità
«I NOMADI NON DEVONO ESSERE ABBANDONATI A SE STESSI»
Dopo lo sgombero del 14 dicembre scorso in via Ripamonti a Milano, gli immigrati rumeni sono provvisoriamente ospitati in un campo di Opera. Don Virginio Colmegna, con i suoi operatori della casa delle carità, da tempo li segue da vicino, e molti di loro sono già stati responsabilizzati con un patto di socialità Intanto continua il tavolo di confronto con le istituzioni per uscire dall’emergenza e restituire dignità alle persone.
Dopo lo sgombero del 14 dicembre scorso in via Ripamonti a Milano, gli immigrati rumeni sono provvisoriamente ospitati in un campo di Opera. Don Virginio Colmegna, con i suoi operatori della casa delle carità, da tempo li segue da vicino, e molti di loro sono già stati responsabilizzati con un patto di socialità Intanto continua il tavolo di confronto con le istituzioni per uscire dall’emergenza e restituire dignità alle persone.
di Luisa Bove dal sito: http://www.chiesadimilano.it/or4/or?uid=ADMIesy.main.index&oid=615228
Quello dei campi nomadi non è un problema nuovo per l’area metropolitana milanese, ma da metà dicembre è scattata nuovamente l’emergenza, prima con lo sgombero forzoso di via Ripamonti a Milano (e conseguente allestimento di una tendopoli d’emergenza nel comune di Opera), poi con gli incendi nel campo di via Triboniano dalle parti del Cimitero milanese di Musocco. «L’emergenza c’è da tempo purtroppo», dice don Virginio Colmegna, responsabile della Casa della carità, «ma è difficile affrontarla se si lasciano incancrenire le situazioni, invece che risolverle, sia nelle “aree dimesse” occupate abusivamente, sia nei campi nomadi regolari sulla carta ma di fatto abbandonati a se stessi».
Don Colmegna, da sempre in prima linea quando c’è da affrontare una situazione di disagio sociale, prima come direttore della Caritas Ambrosiana e ora come responsabile di una struttura d’accoglienza appositamente istituita dalla Diocesi per questi tipi di emergenza, ha le idee chiare in proposito. «La prima scelta», spiega, «è quella di offrire una presenza umana e solidale che sia capace di restituire dignità alle persone e di dialogare con gli ospiti».
Che cosa non ha funzionato con lo sgombero di via Ripamonti?
Fare sgomberi in quel modo, senza prospettare soluzioni alternative, è drammatico. In via Ripamonti c’era gente che abitava da tempo in condizioni difficili, certamente, ma invece di migliorarle si è proceduto a uno sgombero forzoso, buttando in strada, alle sei di mattino, in pieno inverno, soprattutto mamme con bambini. Noi siamo intervenuti per tamponare una situazione di estremo disagio, cercando soluzioni concrete per venire incontro ai bisogni immediati di questa gente Non è possibile continuare con la logica degli sgomberi, prevaricando la dignità delle persone e scaricando i problemi sempre sugli “altri”.
Che cosa avete fatto, in concreto?
Li abbiamo accolti per la prima notte alla Casa della carità e poi abbiamo chiesto un incontro urgente in prefettura col Comune e gli enti cointeressati perché di fronte a uno sgombero senza preavviso ci fosse una risposta istituzionale seria e adeguata. Quella di via Ripamonti era una piccola comunità, 72 persone in tutto (di cui 37 minori), che noi e la Comunità di S. Egidio seguivamo da tempo; eravamo riusciti persino a convincerli a mandare i figli a scuola. Poi, d’improvviso, alle sei di un mattino d’inverno, fuori tutti…
E dal tavolo di confronto con le istituzioni che cosa è emerso?
Tutti hanno riconosciuto che si è trattato di una decisione sbagliata, senz’altro affrettata nei tempi e nei modi. E che non si possono risolvere le emergenze creandone di nuove. Forse ancor più drammatiche. Questi rumeni, come ho detto, li conosciamo da tempo, anche perché hanno legami di parentela con il gruppo di Capo Rizzuto (sgomberato nel giugno 2005, ndr) che da un anno e mezzo abita da noi al Ceas di Parco Lambro e in via Varanini a Milano. Per loro avevamo ipotizzato una sistemazione nel “villaggio solidale” che sta per realizzarsi a Cologno Monzese; un villaggio pensato per queste situazioni di emergenza, ma con spazi anche per famiglie rom. Progetto e finanziamenti ci sono già, e la posa della prima pietra è prevista nei prossimi mesi.
Quindi come si è risolto il problema dei rumeni che hanno abbandonato il campo di via Ripamonti?
Sono stati sistemati su di un terreno di proprietà dell’Amministrazione comunale di Milano, ma ubicato nel Comune di Opera, a Noverasco. L’area messa a disposizione era destinata al parcheggio delle attrezzature dei giostrai in transito, di qui la concessione di una tendopoli provvisoria, fino al 31 marzo. Il Comune di Milano si è però impegnato a organizzare il trasporto da Opera per portare in città gli alunni che frequentano le scuole di via Ripamonti.
Quali saranno i prossimi passi?
Si tratta di una soluzione temporanea, tre mesi in tutto, eppure a Opera c’è stata una reazione violenta da parte di un gruppo di cittadini che abitano nelle zone limitrofe al campo: una sera hanno addirittura incendiato alcune tende cercando di aggredirne gli occupanti. Capisco che ci sia bisogno di un confronto con i cittadini, ma respingo questi atti di violenza. La comunità cristiana, però, ha reagito bene: il giorno degli scontri siamo stati accolti in chiesa, dove è venuto anche il Moderator Curiae, monsignor Gianni Zappa, a portarci il saluto solidale dell’Arcivescovo. Poi abbiamo fatto festa tutti assieme in Oratorio, anche per dare al paese un segnale concreto di accoglienza. Anche il giorno dell’Epifania abbiamo pranzato con i nomadi e i giovani delle parrocchie vicine. Entro il 19 gennaio le istituzioni si sono impegnate a trovare una soluzione definitiva. Aspetto con fiducia.